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giovedì 20/10/2022 • 06:00

Lavoro Dopo il 30 settembre 2022

Contratto a termine: le causali previste dal contratto collettivo. E ora?

Dal 30 settembre 2022 decade la possibilità di instaurare contratti a termine di durata superiore ai 12 mesi, nel limite massimo di 24 mesi, per specifiche esigenze. Cosa succederà?

di Dario Ceccato - Consulente del lavoro - Ceccato Tormen & Partners

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  • Tempo di lettura 1 min.
  • Ascolta la news 5:03

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Il 30 settembre 2022 è spirato ma l'interprete, preso da altri disposti normativi poi avvicendatesi, da circolari dell'INPS perennemente in ritardo rispetto alle norme che vorrebbero chiarire, dal cambio di Governo succedutosi nel tempo, forse non se ne è accorto.

Il 30 settembre è in effetti una data particolarmente significativa per il contratto a tempo determinato.

In effetti l'art 41 bis inserito nel DL 73/2021 (il c.d. Sostegni bis) e modificato con legge di conversione n. 106/2021 ha introdotto delle importanti modifiche alla disciplina del contratto a tempo determinato, ad oggi riferita al più volte modificato D.Lgs. 81/2015.

Giova riportare, dunque, l'attuale testo normativo (art 19 D.Lgs. 81/2015) oggetto di novella:

“Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a dodici mesi.  Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque non eccedente i ventiquattro mesi, solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni:

    a)  esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori; 

    b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell'attività ordinaria. 

    b-bis) specifiche esigenze previste dai contratti collettivi di cui all'articolo 5).

  1.1. Il termine di durata superiore a dodici mesi, ma comunque non eccedente ventiquattro mesi, di cui al comma 1 del presente articolo, può essere apposto ai contratti di lavoro subordinato qualora si verifichino specifiche esigenze previste dai contratti collettivi di lavoro di cui all'articolo 51, ai sensi della lettera b-bis) del medesimo comma 1, fino al 30 settembre 2022.

Nel caso di specie il lessico, la punteggiatura ed i richiami ad un disposto normativo complesso quale la disciplina dei contratti a termine sono fondamentali.

Le potenzialità della nuova norma

Il momento storico nel quale il DL 73/2021 è stato emanato, da solo consente di comprendere come mai il Legislatore del tempo abbia voluto concedere una maggiore apertura verso l'utilizzo del contratto a termine, anche se rimessa al dialogo con le parti sociali. Invero, nel maggio 2021 incalzava ancora la tematica COVID e le sue nefaste conseguenze economico sociali. Ciò non di meno, timidi spiragli di normalità sembravano profilarsi all'orizzonte.

Il disposto normativo in trattazione aveva dunque una duplice funzione:

  • Da un lato (lettera b-bis art 19 co 1), consentire un dialogo con le parti sociali a merito del quale introdurre delle condizioni (che gergalmente noi chiamiamo causali) per determinare specifiche esigenze che possano legittimare l'utilizzo di contratti determinati (al di fuori, evidentemente, delle possibilità già previste dalla norma di legge quale, per esempio, la prima collocazione a termine di durata non superiore a 12 mesi);
  • Dall'altro lato (comma 1.1 art 19), introdurre una disciplina speciale del rapporto temporaneo rimessa sempre al negozio di diritto comune (che sia a livello nazionale, territoriale o aziendale) ma che qualifichi l'assunzione ovvero la rimetta ad un concetto di qualità, intesa come durata;

Soffermiamoci su quest'ultima asserzione. La previsione del citato comma 1.1 dell'art 19 d.lgs 81/2015 appare pacificamente votata a consentire la conclusione di un contratto a termine che possa durare inizialmente oltre 12 mesi (e con ciò derogando al primo comma della norma, categorico nel precisare che il contratto non può superare l'anno di durata) affinchè il dipendente possa contare, nella fase post pandemica, di quella che è stata correttamente (e sapientemente) definita “durata minima garantita”.

Invero, l'intento della legge era quello di permettere alla contrattazione collettiva di poter consentire un'occupazione che, per quanto a termine, fosse rilevante in termini di durata (oltre 12 mesi con un singolo contratto senza proroghe e rinnovi) e nei limiti massimi di 24 mesi di durata iniziale. Questo perché, a ridosso dalla pandemia da SARS COV2, si voleva traghettare l'occupazione a termine verso un concetto di normalità che, evidentemente, è stato ipotizzato verificarsi al 30 settembre 2022.

Ciò in relazione ai contratti a termine. Non anche alle proroghe e rinnovi degli stessi.

In effetti non si deve cadere in un tranello normativo piuttosto facile, attesa la complessità del disposto normativo.

Invero:

  • Come noto, sia in ogni caso di rinnovo contrattuale (ossia di riassunzione con un nuovo ed ulteriore contratto a termine rispetto ad un precedente rapporto temporaneo) sia nel caso di proroga del contratto per un periodo superiore a mesi 12 è necessaria l'identificazione di una condizione (causale) riferibile alle previsioni dell'art. 19 d.lgs 81/2015 modificato dal DL 87/2018 (c.d. Decreto Dignità);
  • La disciplina della proroga e rinnovi è rimessa alle previsioni dell'art 21 comma 1 del d.lgs 81/2015 il quale dispone:

Il contratto può essere rinnovato solo a fronte delle condizioni di cui all'articolo 19, comma 1. Il contratto può essere prorogato liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente, solo in presenza delle condizioni di cui all'articolo 19, comma 1.

Come si può notare, l'articolo sopra citato opera un riferimento alle condizioni “di cui all'articolo 19 comma 1” ma non anche al comma 1.1 (ovvero quello che dispone la possibilità di prevedere contratti a termine con una durata minima garantita).

Pertanto, la “scadenza” del 30 settembre 2022 deve ritenersi del tutto estranea alla possibilità che la contrattazione collettiva di qualsiasi natura possa identificare delle condizioni, ex lettera b-bis), a merito delle quali si possa prorogare o rinnovare un contratto a termine (ferma restando la durata massima di 24 mesi, derogabile anch'essa dalla contrattazione collettiva).

Conclusioni

L'apertura alla contrattazione collettiva nell'identificazione di condizioni per l'apponibilità del termine, ricordano, per certi versi, quanto già disposto dalla Legge 56/87. Oggi come allora, l'intervento è stato provvidenziale, finalizzato a superare quelle logiche che confinano (ancora) il ricorso al tempo determinato quale “ricatto” verso il lavoratore. Si badi bene: non si vuole legittimare l'osservanza di prassi evidentemente basate sulla precarizzazione, ma la condizione con le parti sociali di ipotesi di ricorso al contratto a termine (oggi nella ipotesi di rinnovi e proroghe) potrà sicuramente agevolare il contrasto alla disoccupazione.

Peraltro, alla contrattazione è rimessa la possibilità di disporre “specifiche esigenze” le quali, letteralmente, dovranno sicuramente rispondere a casistiche ben delimitate e non potranno risultare di natura generalista (pena l'illegittimità dell'apposizione del termine ai contratti che discendono da quella previsione).

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